Il risparmio energetico dà valore al mattone

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Risparmio energetico vuol dire anche valorizzazione immobiliare.

Anche se non è semplice stabilire quale differenza di valore passi, a parità di condizioni (localizzazione, destinazione d’uso, consistenza, finiture, eccetera), tra un edificio di “classe A” ed uno di “classe B” piuttosto che di “classe C” oppure quale valorizzazione possa derivare da interventi di riqualificazione (costi) finalizzati a migliorare la classe energetica di un immobile.

Il tema, sviluppato anche sotto il profilo giuridico e fiscale al convegno organizzato da Anaci Veneto al Cuoa di Altavilla Vicentina lo scorso marzo, appassiona tutti coloro che gravitano nel mondo immobiliare.

Se in passato il mercato immobiliare risultava caratterizzato da una domanda prettamente quantitativa, oggi lo stesso si connota per una domanda sostanzialmente qualitativa in tutti i settori: dalla residenza, al terziario, al commerciale, al produttivo.

Il concetto della qualità di un manufatto edilizio riguarda molto da vicino il tema della certificazione energetica: un edificio che è in grado di garantire un elevato livello di comfort, abbattendo nel contempo le dispersioni energetiche, è verosimilmente un manufatto ben costruito, con “buoni” materiali e “a regola d’arte”, ben coibentato e ben progettato.

Benché la classificazione energetica degli edifici non risulti ancora adeguatamente considerata dall’estimo immobiliare, appare dunque opportuno cercare di verificare quale possa essere la differenza di valore che passa fra edifici collocati nelle diverse classi di prestazione energetica (classe A, B, C, D, E, F, G).

L’intento è quello di determinare il diverso valore attribuibile ad un edificio con un certo grado di dispersione termica (e conseguente correlato consumo di energia), rispetto ad un altro edificio avente le stesse caratteristiche ubicazionali, di destinazione, consistenza, finitura, eccetera, ma collocabile in una classe inferiore di prestazione energetica (ovvero un edificio che consegue un maggior consumo di KWh/mq annui per ottenere il medesimo risultato in termini di benessere-comfort termico, fruibilità e utilizzabilità).

Il costo unitario del kWh è diverso a seconda della fonte da cui è tratta l’energia impiegata. Per l’energia derivata da impianti nucleari il costo del kWh si aggira intorno a 0,03 euro. Se a questo valore si aggiungono i costi per lo smaltimento delle scorie e quelli riconducibili alla manutenzione degli impianti, la stima sale intorno agli 0,06 euro. Il costo del kWh elettrico in Italia per utenze domestiche (potenze limitate), compresa l’Iva, risulta in media di circa 0,20 euro.

Per quanto attiene invece al gasolio, si può assumere che un litro di combustibile, al pari di un metro cubo di gas, sia in grado di produrre 70 kWh. Pertanto, poiché il costo del gasolio da riscaldamento e del gas si aggira rispettivamente (dati riferiti al 2° semestre 2007) intorno a 1,14 euro/lt e 1,05 euro/mc (compresa Iva), si può computare in 0,11 euro/kWh (per ora) il costo puro dell’energia derivante da tali fonti. A questi costi occorre però aggiungere, ancora una volta, quelli della manutenzione, dell’ammortamento, della gestione eccetera nonché degli impianti che utilizzano l’energia, al fine di ottenere il risultato ricercato (costo complessivo del riscaldamento, condizionamento, ventilazione eccetera).

Inoltre, si deve tener conto che il riscaldamento invernale si attua utilizzando prevalentemente energia tratta da gasolio o da gas, mentre il condizionamento estivo è per la quasi totalità alimentato con energia elettrica. Indipendentemente dalla classificazione energetica degli edifici è dunque possibile assumere in circa 0,15 euro il costo medio del kWh derivabile dalle diverse fonti energetiche e necessario per garantire le condizioni di comfort-benessere termico estate/inverno all’interno degli edifici stessi.

A questo punto risulta possibile calcolare i maggiori costi di gestione degli immobili collocabili nelle diverse classi, con riferimento al metro quadrato di superficie: il divario, rispetto alla ottimale classe A, di un’abitazione di classe G (la media) supera il 19,50 euro al metro quadrato, si attesta ai 19,50 per la classe F, per scendere a 13,50 (classe E), 9 (classe D), 6 (classe C) e 3 (classe B).

A maggior costo di gestione deve corrispondere un minor valore unitario dell’edificio, computabile sulla base della capitalizzazione del divario di costo, al tasso di rendimento medio-netto dell’immobile. Con un tasso pari al 3%, si ottiene il divario in termini di minor valore unitario dei fabbricati rispetto alla classe A.

Se si suppone che le costruzioni esistenti siano per esempio collocabili, di massima, in classe “E”, utilizzando i dati esposti in precedenza, si otterrà il prospetto riportato nello schema qui a fianco, da cui emerge il maggior/minor valore unitario delle unità immobiliari in relazione alla loro classificazione energetica e con riferimento alle caratteristiche medie del prodotto edilizio della località nell’ipotesi considerata.

Il divario può risultare non particolarmente rilevante per immobili ubicati nelle grandi città che assumono valori unitari molto elevati, ma è certamente sensibile per le unità di costo relativamente contenuto, incidendo sull’apprezzamento delle stesse, come si può constatare, con percentuali di tutto rispetto.

Fonte: Politecnico di Milano

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