Caccia all’evasione immobiliare

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Si comincerà così, con quei 200 milioni in più nella casse dello Stato e, soprattutto, dei Comuni. La preda più facile, nella caccia all’evasione immobiliare, è rappresentata proprio da quelle tipologie immobiliari che nei fatti non dovrebbero più esistere: abitazioni ultrapopolari e rurali, categorie immaginate negli anni Trenta per case destinate a famiglie operaie e contadine a bassissimo reddito.

Il passaggio del Catasto ai Comuni, fissato al 1° novembre prossimo, avrà certamente un significato simbolico ed è sicuro che per i Comuni, più o meno direttamente investiti della gestione, scatterà la molla dell’impegno all’uso dei dati catastali per la riorganizzazione dell’imposizione tributaria immobiliare. Nella realtà gli strumenti ci sono già: con i commi 335 e 336 della Finanziaria 2005 (si veda l’articolo sotto) e la possibilità di accedere gratuitamente alla banca dati catastale, già effettiva, i Comuni potrebbero partire da subito a recuperare le quote di evasione Ici. E le sperimentazioni attuate negli anni passati hanno dato ottimi frutti.

Tuttavia è ragionevole pensare che solo da novembre sarà immaginabile un’offensiva a largo raggio e, soprattutto, rapida. Una blitzkrieg per il recupero dell’evasione basata sulle tecnologie informatiche e sulla telematica che costringerà i contribuenti in malafede o semplicemente distratti a rientrare nei ranghi già nel 2008.

Il gettito

Si può ipotizzare che il passaggio di categoria conduca a un aumento delle rendite (non aggiornate) di almeno 313 milioni e che possano così entrare nelle casse comunali circa 179 milioni di Ici e 26 di Irpef. La differenza è giustificata dalla massiccia presenza media di abitazioni principali, sulle quali si applica un’aliquota Ici in genere più bassa e non si paga del tutto Irpef.

Non solo: a volte il passaggio di categoria crea sì un incremento dell’Ici ma solo sulla carta, perché la detrazione è talmente alta da “assorbire” anche gli aumenti. Come nel caso di Napoli (si veda la tabella a fondo pagina), dove la base imponibile, raddoppia ma, trattandosi di abitazione principale, la super detrazione di 155 euro azzera comunque l’imposta.

Le categorie da cambiare

Le unità immobiliari abitative, che con i 541mila uffici abitazioni arrivano a un totale di 31,2 milioni (il 58% del totale delle unità immobiliari in Italia), sono divise in dieci categorie, da A/1 (lusso) ad A/11 (case tipiche dei luoghi, come i trulli), passando appunto per gli uffici (A/10). Si tratta di categorie certo obsolete ma che rispondono a requisiti e caratteristiche abbastanza precise, che per le A/5 e le A/6 (si veda l’articolo qui sotto) sono evidentemente inesistenti. Quanti italiani vivono (magari anche solo occasionalmente) senza bagno in casa? Anche escludendo quelle famiglie che hanno abbandonato a se stesse alcune vecchie catapecchie rurali destinate ai braccianti, la stragrande maggioranza di quei 2,2 milioni di unità è stata rimessa a posto, per abitarci o andarci in vacanza, soprattutto nei centri medio-grandi.

Ma, naturalmente, se a ricordarsi di procurarsi il titolo abilitativo per fare i lavori (Dia o concessione) sono stati in molti, pochissimi si sono ricordati invece di comunicare la variazione al Catasto. Mantenendo così vecchia categoria e rendita. Insieme, ovviamente, alle vecchie tasse.

Far emergere questa cospicua sacca di evasione non sarà difficile: un’azione a tappeto dei Comuni, che da novembre consentirà anche di accelerare la procedura un po’ farraginosa della Finanziaria 2005, è facilmente ipotizzabile. E anche in campagna, pur in assenza di segnalazioni al municipio, sarà facile recuperare gli immobili che hanno perso i connotati delle A/6.

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